Se qualche tempo fa mi avessero detto che mi sarei appassionata ad un talent show avrei sicuramente storto il naso. Tuttavia è da anni che seguo le produzioni di Heidi Klum. In principio “la divina” creò il cielo e la terra del talent fashion show.
Era l’epoca del format statunitense Project Runway.
Una gara in cui giovani stilisti emergenti concorrevano per destreggiarsi nell’ambito mondo della moda. Una competizione scandita da differenti livelli di difficoltà. Gli aspiranti designer realizzavano le loro creazioni tenendo sempre conto di limiti di tempo, materiali sperimentali, budget contenuti e temi definiti.
I loro progetti stilistici erano poi giudicati a seguito di un defilé. La giuria era composta da Heidi Klum, dallo stilista Michael Kors, dalla giornalista di moda (Elle e Marie Claire) Nina Garcia. Inoltre, ad ogni puntata si alternavano diversi ospiti in giuria.
Insieme alla super modella, a seguire le vicende creative dei concorrenti, l’inseparabile Tim Gunn.
Tredici stagioni che hanno visto avvicendarsi grandi talenti che il tempo, malgrado tutto, ha messo in stand-by.
Pausa interrotta quando Amazon Prime Video quest’anno ha “dato un taglio” riportando il duo Klum-Gunn sul piccolo schermo. Accolto con grande entusiasmo sulla piattaforma on demand fa capolino un nuovo capitolo della moda in TV: Making the cut.
La prima puntata è andata in onda a marzo di quest’anno su Amazon Prime Video. Il format riesce subito a catalizzare l’attenzione dello spettatore che gioca in maniera parallela ad essere giudice delle creazioni dei concorrenti.
La differenza tra Making the cut e il suo antenato è nella scelta dei giocatori. Sono stilisti-imprenditori internazionali, che hanno già un passato nella moda con proprie linee o negozi di abbigliamento. Il livello della sfida è molto alto. La vincita è molto allettante: un milione di dollari da investire nel proprio marchio di moda ed il lancio della propria linea sul sito e-commerce di Amazon.

La giuria è composta da Naomi Campbell, Nicole Richie, Joseph Altuzarra e Carine Roitfeld sostituita poi da Chiara Ferragni. Sui grandi nomi della giuria poco da obiettare forse avrei preferito una figura più carismatica al posto di Altuzarra. Il suo punto di vista e conseguente giudizio, a mio parere, a volte risultava esser troppo blando e con poco senso dell’innovazione.
Perché la moda deve essere avanguardia anche se destini una collezione alla vendita attraverso un colosso come Amazon.
Allarme spoiler.

Il vincitore è Jonny Cota.
Su questa vittoria ho subito avuto qualche titubanza perché ho sempre pensato che fosse uno dei primi ad poter essere eliminato. Nelle sue creazioni non ho visto lo scintillio dell’innovazione. Lo stile urban che rappresentava sulle sue modelle, salvo qualche eccezione, era a mio parere già visto. Le grandi catene di fast fashion hanno già i manichini con indosso quello stile. A volte sembrava non avere padronanza con le stoffe, per uno stilista diciamo che è un tassello non poco importante. È stato per due volte aiutato a finire i suoi capi dai colleghi designer, ciò significa non avere consapevolezza e gestione del tempo. Sarti ed artigiano sanno quanto sia importante il fattore consegna. Il temporary store da lui concepito mi ha fatto subito pensare ad un negozio esistente a Catania già all’inizio del duemila. La moda non è ricerca di nuovo e lancio di proposte stuzzicanti e seducenti? Vendere on-line è difficoltoso, rendere appetibile un abito una missione ardua. Ma il rischio di banalizzare la realizzazione sartoriale con le cuciture storte e i bagni di tessuto nel caffè, che fa molto anni ’90, è dietro l’angolo.
Il secondo posto va alla talentuosa Esther Perbandt.
Ma il vero vincitore, la vera scoperta di questa edizione di Making the cut è per me il giovanissimo Sander Bos.
Il suo percorso creativo ed identitario non ha mai vacillato. Una risorsa per il mondo della moda che deve essere accolta e raccolta affinché diventi un maestro della couture. Mai banale.