Mentre scrivo siamo già alla terza giornata della Festa del Cinema di Roma e la mia attenzione è dedicata ad un titano della macchina da presa: il regista Oliver Stone.
In una versione anomala di red carpet, dimesse le vesti da account executive e indossate le più comode e utili scarpette da ginnastica verdi e relativo badge press, ho corso da una sala all’altra, incrociando persino Michael Buble, cercando di non farmi fuggire neanche un refolo dell’atmosfera che si respira all’Auditorium. Saranno giorni pieni e frenetici, ma come ogni anno la settima arte riempirà gli occhi e il cuore.
Controlli di routine, le scale tutte d’un fiato e si è giunti finalmente alla sala Sinopoli. Prendo posto in galleria, al piano di sotto, come al centro di un’arena gremita, vedo Oliver Stone pronto ad assistere alla prima italiana del tanto atteso biopic “Snowden”.

Standing ovation e cinque minuti di applausi al termine di questo capolavoro di contemporaneità. Una diretta critica al sistema americano e alla volontà di onniscienza celata negli aggressivi sistemi di sorveglianza di massa utilizzati dagli Stati Uniti.
Edward Joseph Snowden, oggi trentatreenne esiliato in Russia, sulla pellicola interpretato dall’accattivante Joseph Leonard Gordon-Levitt, si è dimostrato essere la chiave di volta per accedere alle dinamiche segrete dei massimi sistemi di sicurezza e per mettere in guardia gli inconsapevoli fruitori della quotidianità. Dopo aver visto questo film, sapientemente architettato tra la biografia e il thriller, lasciare un pc incustodito sul tavolo non avrà più la stesso significato. Il timore di essere sorvegliati, anche se non si ha nulla da nascondere, non è una remota possibilità ma una tangibile variabile di un sistema non criptato.
Nel crocevia tra giornalismo digitale e vecchia carta stampata, mezzi funzionali per portare alla luce gli accadimenti e la verità, ieri come oggi, ho percepito l’eco del film “Tutti gli uomini del presidente”. Un inno al giornalismo, quello vero, quello che oggi viene abbindolato dietro numeri, followers e dinamiche economiche a discapito della realtà dei fatti. Giornalisti con in mano uno scoop che ha scosso le coscienze sopite dell’intera interfaccia globale, di tutti noi che dal 2013 sappiamo di essere “involontariamente” spiati; questa è la categoria a cui appartengo e di cui vado ben fiera: non hanno paura di toccare gli alti piani dello scenario politico e si sono scontrati con una sorta di censura che purtroppo è comune nel mondo del giornalismo, anche (e forse soprattutto) in quello attuale.
Snowden redento e idealizzato. Oliver Stone disincantato ed esortativo.